L’impeto della creazione nel tumulato della primitive emozioni

Uno degli errori in cui più spesso si incorre, allorché si è chiamati ad esprimere un giudizio critico su un’artista, consiste nel fare comparazioni per sottolinearne la grandezza. Occorrerebbe conoscere più da vicino Antonio De Paoli per tentare di scoprire la sua più vera autentica personalità. L’artista infatti porta a piena realizzazione il suo processo creativo pro-rio nel ciclo delle opere qui esposte.

La sua carica di umanità è solcata in queste terre refrattarie come una forza liberatrice e spinge inevitabilmente i suoi soggetti verso la dissoluzione fisica.
Le sue “metamorfosi” sono una presenza netta, anche se tipica in ogni opera d’arte, come la vita biologica che sta al mutamento incessante della realtà oggettiva, intensa espressione di un innegabile dinamismo interiore.
I sentimenti che Antonio De Paoli esprime si possono cogliere nella sua poliedrica attività che spazia dalla pittura alla scenografia, fino alla scultura. Ma è proprio nel modellato che a mio giudizio si scopre la massima esaltazione della sua creatività e della sua tecnica.
Egli cioè concepisce la sua trama artistica nell’infinito, imprimendo con immediatezza e forza i segni della modellazione senza alcun pentimento o esitazione.
Tali segni estrosi, decisamente nervosi dei polpastrelli, rivelano una tale sicurezza nella manipolazione della terra duttile da provocare sgomento nell’osservatore assiduo.
La tematica viene semplificata conferendo alle composizioni un aspetto vagamente simbolista.
In talune parti il modellato appare appena accennato, e questa è una particolarità che induce l’osservatore ad interloquire con esso, vuole coinvolgerlo in armoniose stilizzazioni lasciando il posto a meditazioni piuttosto profonde
Una personalità riflessiva, quasi introversa, umile, disposta più ad ascoltare che a parlare, è uno spirito tormentato alla ricerca di qualcosa che sembra non trovare mai. Un divenire che si rivela in queste sue creature corrose dal fuoco, un fuoco soprattutto interiore che si ali-menta giorno per giorno con gli stati d’animo fatti di pensieri, di originari sensi, di straordinari e corrosive visioni.
“Abbozzare con fuoco ed eseguire con flemma” teorizzava Winckelmann ai suoi allievi. Se si potesse osservare l’artista mentre lavora, si riuscirebbe forse a spiegare il tormento del suo modellato carico di umanità, egli da forza all’invisibile, al non esprimibile nel senso enunciato da Paul Klee: “il ruolo dell’arte non quello di riprodurre il visibile. E’ quello di renderlo visibile”.
Le mani, plasmano la materia per raggiungere un unico stato d’animo, sintesi di tutti i precedenti. Così il lavoro di De Paoli è indissolubile dall’artista: l’affermazione della sua umanità e si concretizza nella conseguente libertà di espressione. Una libertà ispirata soprattutto dalla prodigiosa genialità contenuta nel repertorio dell’arte canoviana, i bozzetti quella radice sfuggente al grande pubblico: De Paoli come Antonio Canova, si serve dei bozzetti perchè li considera la prima vera idea dell’opera, legata al concepimento estemporaneo.
Poi si compie il passaggio dal bozzetto alla realizzazione in scala a grandezza naturale che si esprime in molte realizzazioni di Antonio De Paoli; come risulta chiaro in opere di committenza ecclesiale comprendenti: statue, lunette e portali di chiese.
Nelle terrecotte che oggi si ammirano, collocate in questo splendido contesto medioevale, si integrano perfezione ed elementi che consentono all’artista di evocare, come in una anamnesi, il mondo esistenziale. Queste terrecotte riportano alla memoria un aspetto un po’ dimenticato dell’arte e cioè il momento della creazione, del concepimento. Si assiste attoniti al susseguirsi continuo di sapienti alternanze di pieni e di vuoti, in contrasti di masse chiaroscurali, dove domina la narrazione ma senza nessun tono retorico. Senza dubbio in queste opere si può cogliere l’indole riflessiva e, talvolta, impetuosa come risulta dagli improvvisi solchi della miretta che si alternano all’impalpabile, levigato candore delle carni: “Perché sempre gli uomini sono stati composti di carne flessibile e non di bronzo”
Per De Paoli le regole non devono costituire mai una barriera rigida che imprigiona l’artista, ma possono e devono essere utilizzate per sgombrare pregiudizi e condizionamenti.
Le scelte coraggiose dell’artista si fondono sulla capacità e sulla determinazione di rifiutare la visione di un mondo preconfezionato. Il nostro sistema visivo è particolarmente attratto dalle forme e dal dinamismo che esse creano; l’alternanza dei pieni e dei vuoti generano, per-tanto, la percezione del movimento illusorio, introducono al suo dinamismo. De Paoli dimostra dunque in queste sue “creature” il legame inscindibile con le teorie Wanburghiane, interpretato attraverso un articolato e colto percorso iconografico, che ci aiuta a comprendere il suo pensiero più che la realtà oggettiva.

Antonio Falbo

Romano di Lombardia 14-XI-07

 

L’arte non è morta

L’arte è forse morta? Questa mostra pare smentire il luogo comune.

Infatti ogni manifestazione artistica è intrinseca alla storia dell’umanità ed è l’espressione più immediata dello spirito.Può forse stupire, se mai ,che vi sia ancora oggi chi intende dare all’arte se non una missione il compito di essere di stimolo, di guida dopo il tanto parlare di informale, di astratto, di rottura degli schemi ecc.
Dopo il dadaismo, la pop art, il post moderno, ecco infatti apparire con questo giovane artista pavese laureato a Brera anche un ritorno al figurativo e ai grandi temi del simbolismo, segno indubbio che l’arte fatta di preparazione, talento e padronanza del mestiere, non può esse-re solo protesta, provocazione, casualità e sberleffo ma anche e soprattutto riflessione esistenziale.
Vuol dire che certi temi che parrebbero sepolti per sempre riaffiorano dopo che si è toccato il fondo, come dimostrano le ultime edizioni della Biennale veneziana. Ce ne rallegriamo.
Antonio De Paoli ha lasciato la professione di scenografo prima alla Fininvest e poi alla RAI per seguire coraggiosamente la sua irresistibile vocazione che ha coltivato fin da ragazzo, mettendo su bottega in una cappella seicentesca uno Studio d’arte che sta riscuotendo successo perché il suo titolare sa usare il pennello come la stecca e il bulino, possedendo una versatilità non comune per i nostri tempi dove la superficialità e l’improvvisazione sono tanto diffusi.
Il suo nome è conosciuto ormai al di fuori della sua provincia.
In pochi anni non solo città e paesi si sono abbelliti grazie a lui, con sculture in bronzo e in cotto, statue, busti, dipinti e persino altari, ma anche con restauri, scenografie e nuovi esercizi.
Infatti questo poliedrico artista è anche capace di realizzare architetture d’interni progettando artistici caffè, scolpire medaglie, inventare sempre cose nuove.
Tutto è cominciato meno di un decennio fa quando l’arciprete di Casorate primo gli ha commissionato un lavoro di restauro nella chiesa di San Vittore. Eseguito questo, ha sentito dal committente dell’esistenza di un suo ambizioso progetto di realizzare di bel nuovo degli affreschi nel catino centrale e nelle due cappelle laterali che però presentava grossi problemi di armonizzazione con i preesistenti dipinti nelle tre navate .
De Paoli accettò la scommessa con sé stesso e disse che ci avrebbe pensato lui e di fatti in alcuni mesi realizzò uno straordinario ciclo’di dipinti che lasciarono a bocca aperta i parrocchiani: la Genesi, la Natività, Gesù prima della cattura, la Resurrezione e sull’abside nientemeno che il Paradiso, tutti temi capaci di far gelare il sangue nelle vene.
In seguito nella stessa chiesa eseguì quattordici altorilievi della Via Crucis e infine le sei grande porte in bronzo del Giubileo tanto lodate dal card. Martini e da mons. Ravasi che le inaugurarono.
Se le pitture erano un trionfo di forme e di colori perfettamente integrate con il resto, degne di un grande maestro del passato per la loro forza espressiva e originalità, le sculture nonerano inferiori a quelle di Arturo Martini. Seguirono così altri suoi lavori nel nuovo Oratorio che gli fecero maturare la decisione di seguire questa strada che si rivelò fruttuosa e che tra l’altro gli permise di realizzare in seguito a Lungavilla le statue a grandezza naturale di San Luigi Orione e San Luigi Versiglia e a Pavia un altorilievo bronzeo commemorativo della Torre Civica.
Ora sta preparando un altro portale per il Sacrario dei caduti a Cella di Varzi in memoria di tutti i caduti di guerra compresi quelli delle missioni di pace e una copia bronzea del bozzetto è stata regalata all’allora presidente della Repubblica Ciampi in occasione della sua visita a Pavia, il quale gli ha rivolto parole di vivo apprezzamento assicurandogli che l’opera rimarrà tra le raccolte artistiche del Quirinale. Passiamo ora alle opere esposte che di nuovo rivelano una straordinaria energia e v oltre la realtà percepita, spaziando nei meandri della mente e cogliendo l’inconscio collettivo cioè interiorizzando i grandi problemi della realtà umana: la vita , la morte, l’amore, il divino che anima il tutto.
Si noti che la panoramica delle sue creazioni non è completa perché mancano i pezzi si trovano presso collezionisti e committenti di tutta Italia e all’estero(fino al lontano Brasile) dato che la sua fama si è allargata. Eppure egli non punta al successo effimero né solo al guadagno fine a se stesso, come certi suoi “colleghi” che si ammantano di sperimentalismi per coprire le loro lacune, perchè è un professionista serio che ha cose nuove da dire, come dimostra il suo percorso.
De Paoli ha bene in testa le testimonianze degli autori classici, in primis Michelangelo e Caravaggio, che gli hanno fornito una solida base conoscitiva, del surrealismo di Dalì e sopratutto di un protagonista del futurismo italiano come Boccioni e della scuola metafisica come De Chirico. Il Nostro ha una speciale assonanza con il primo per la tematica religiosa, come si nota nell’emblematico dipinto della Crocifissione pieno di drammaticità e con l’ultimo per la predilezione verso la dimensione spaziale.Tuttavia il suo stile personalissimo non è frutto di imitazione ma di incessante ricerca in anni di lavoro che hanno affinato la sua manualità e la sua inventiva.
Egli tiene anche conto degli apporti critici della letteratura novecentesca (Svevo, Kafka, Proust e Pirandello in particolare) che servono a riempire di contenuti le proprie creazioni. La sua forte padronanza compositiva e la sua inesauribile fantasia, il suo gusto materico fanno il resto.
La carica onirica dei sui lavori è dunque finalizzata alla ricerca dell’essere, pur senza le ambiguità problematiche di Dalì e le angosce di Magritte, che nasce da una reale consapevolezza etico-estetica.
L’artista non nasconde il suo sgomento davanti a un mondo sempre più inaridito, al dramma dell’amara solitudine e della mancanza di risposte vere e di soluzioni alla crisi morale e del nostro tempo, che pare accompagnarsi a un allarmante sconvolgimento planetario.
Ma secondo lui occorre reagire andando contro-corrente e riallacciarsi alla grande tradizione artistica per rivisitarla e cercare la verità oltre l’apparenza.
Questo è il tema dominante della sua produzione: il contrasto tra l’ io e il non io, tra l’essere e la sua ombra, che fa pensare alle grandi tematiche di Pirandello e Bergson e fa riferimento in un certo senso agli antichi miti greci, ma punta hegelianamente alla conciliazione dei contrasti attraverso una specie di mistica della materia proiettata nello spazio.
I corpi maschili e femminili da lui scolpiti con maestria sono colti con meraviglia crecsente, diventando le icone di una pura bellezza non solo sessuale.

Tuttavia il dramma dell’incomunicabilità li pervade dal di dentro e li rende persone senza volto che non riescono ad armonizzarsi fra loro, ad amarsi.
Si direbbe che De Paoli voglia scavare nell’anima dei contemporanei interpretando il loro malessere e indicar loro la strada per tagliare le troppe pastoie che li avvincono e combattere le troppe banalità per aiutarli a ritrovare la loro libertà. Infatti tutto contribuisce a omologare` gli uomini,visti prevalentemente come fruitori di prodotti e di mode.
Il suo è quasi un appello per un nuovo umanesimo, in tacita polemica con il tecnicismo e meccanicismo dilaganti capaci di offuscare i sentimenti e porre barriere nel rapporto con la natura e i propri simili malgrado l’apparente libertà offerta da Internet.
Ciascuno di noi è strumentalizzato ma non lo sa, diventando la semplice pedina di un mondo globalizzato, incapace di vere emozioni e di spazi propri, vittima di un consumismo che genera talvolta disperazione e sempre falsi bisogni.
L’anelito fichtiano di cercare di spostare gli ostacoli è infatti comune a molte sue sculture: anche se il soggetto trova enormi resistenze nel momento in cui si impegna con tutte le forze nell’intento e deve accontentarsi di spostare i limiti solo parzialmente per ritagliarsi uno spazio, ben consapevole che l’insoddisfazione è propria della condizione umana.
Occorre partire dalla coscienza di tale limitatezza se si vuol tentare di rispondere alle tante domande che spesso non trovano risposte, sul senso delle nostre azioni, sul valore dei nostri sentimenti.
Bisogna però imparare a guardare oltre e più in alto perché i sensi possono ingannare.
Di qui la tendenza alla verticalità delle sculture, che trova una precisa spiegazione.
Il soggetto si libera quando è in grado di avere un rapporto positivo con sé stesso e con gli altri, mettendo da parte l’egoismo e la voglia di possesso. Come diceva il grande Michelangelo l’uomo deve ritrovare il vero senso della vita e deve battersi per comunicare platonicamente a tutti il valore di tale conquista.
Un mondo migliore non si realizzerà quindi né con le guerre, né con le rivoluzioni e nemmeno con il mito illusorio del benessere, ma con il pensiero.
Forse l’arte può aiutare.

G.D.

Matericità dello spirito

Materializzazione dello spirito, e spiritualizzazione della materia, verrebbe da pensare nel guardare i gruppi scultorei di Antonio De Paoli. Il Maestro non si schermisce: viene dall’ambiente scenografico, pensare al Tutto e alla visione d’ insieme è ciò che, fin dagli anni di Brera, ha caratterizzato la sua vocazione artistica.

E se è sicuramente vero che nella solidità della scultura Michelangelo trovava la fragilità umana, così il modellato di Antonio de Paoli assurge a vera epitome dello spirito che si libera dal limite corporale: la forma non si limita ad ‘ uscir fuori’ dal materia-le inerte ma, contenuta già in esso, indica il momento di trapasso, che è anche trasmutazione alchemica- dal basso verso l’ alto, dall’insipiente creta alla figura umana nella sua totale, stupefacente, divina dignità.
E’ un lavoro da demiurghi: la lezione antica di Luca Signorelli, di Michelangelo, di Bernini, è modernizzata e attualizzata con canoni di oggi. Per questa manifestazione vitale, per quest’ epifania di forme, De Paoli prende a modello egli stesso il sublime concetto della Creazione, atavico gesto che richiama il legame dell’Uomo con Dio, immaginifica abitudine che i figli mortali hanno preso dal loro Padre Celeste: quello di plasmare un qualche cosa che abbia in sé armonia, la stessa che ispira il moto del Cosmo.
La cosa più naturale che i nostri bimbi fanno, c’ è da dire, è proprio giocare con la terra, aver-ne confidenza smisurata, metterla in bocca, perfino.
E come i ‘Prigioni’ michelangioleschi sono ‘incastrati’ nel marmo, così le sue figure compio-no il titanico sforzo di mostrarsi, di staccarsi da quello che è materiale eccedente.
Nelle declinazioni più sublimi, si può dire che il modellato ‘non finito’ renda omaggio alla delicatezza della natura umana, che non sempre si staglia chiara e netta, ma può subire offuscamenti e confusioni, momenti indeterminati e sfuggenti dell’ esistenza.
Ecco, questa fatica aggettante dei gruppi scultorei, fatti di torsioni e inclinazioni, di sbalzi e di ombreggiature a rilievo, è densa di forza espressiva, è lo specchio di tutti i tempi che, nella solitudine paralizzante, vuole ribellarsi al decadere dei valori attingendo a piene mani al misticismo, recuperando la vera e pura sostanza umana, che è ‘imago Dei’, immagine e somiglianza di Dio.
Sembra che respirino, queste sculture. Sembra che abbiano polmoni capaci di filtrare la vita.
Sembra che ci vogliano dire: ‘Voi che avete vita, che avete moto, che avete tempo che scorre su di voi e vi trasforma e vi glorifica, che vi esalta e vi sfigura, godetene appieno, ricordatevi della vostra fisicità come di un dono che viene dall’Altissimo’.
In quest’ ottica, la plasticità di questi corpi che spiccano fuori, dunque, diviene la personale meditazione artistica di De Paoli, il suo tributo di pensiero tramite un’ attività manuale che aspira alla certezza metafisica.
Del resto, immergere le mani nella terra è stato il primo atto di Dio: e questa sostanza primi-genia, il fango, è stata la primissima ‘carne’, l’ involucro prescelto in cui il ‘sufflum animae’ venne infuso.
Che per De Paoli, spirito ‘ poietico’ per nascita, la mimesis’ del processo divino nell’umano, sia un vivere quotidiano e sentito, è dimostrato dall’ accuratezza con cui, oltre a modellare, ha scelto il materiale da usare: prendendo esempio da quel ‘Dio vasaio’ che ha forgiato l’ universo, Antonio De Paoli ha attinto alla varietà, amandone la sperimentazione e le possibilità di resa che potevano essere ricavate- l’argilla, come la carne umana, si compone di diverse tonalità cromatiche, dal più chiaro al più scuro; varie terre refrattarie sono state assemblate per dare esiti di pigmentazioni differenti, esattamente come è diversa nel colore della pelle la moltitudine degli uomini nel mondo.
Terre di Spagna, di Bassano del Grappa, del Piave, gli hanno fatto rivivere, in senso puramente cristiano- escatologico, il concetto del ‘polvere sei, e polvere ritornerai.’
Non vuole essere, quello di Antonio De Paoli, un truce ‘ memento mori’ alla maniera barocca, questo no: semmai è proprio la glorificazione della vita nel suo senso più biblico, più legato alle Scritture, una riflessione a tutto tondo sull’Uomo in dialettica continua, evolutiva, con ciò che 1′ Uomo stesso inventa, e ciò da cui deriva: quest’ affiato mistico, questa tensione, questo slancio concettuale verso l’alto che De Paoli compie non si potrebbe capire senza tener presente anche l’altra attività del Maestro, il ciclo pittorico.
Affrescare la Chiesa di San Vittore in Casorate Primo con la vividezza dei colori caldi e freddi che ricordano le tecniche usate da Pontormo o da Rosso Fiorentino è la ‘ liaison’ portante che l’ ha spinto poi a realizzare in bronzo le formelle che adornano la facciata delle porte del Duomo stesso, immettendosi nell’antica scia di tradizione di Lorenzo Ghiberti per il Battistero di Firenze.
Col recupero ‘ tattile’ della sensibilità che aveva animato l’ Arte tra Quattrocento e Cinquecento, Antonio De Paoli manifesta non solo il suo sentire religioso e il suo vissuto umano alla ricerca di risposte, ma vuole lanciare una nuova, coinvolgente sfida a quanti ancora credono che il figurativismo possa parlare a tutti e ispirare gli artisti di ogni epoca: in netta antitesi con la stucchevolezza di un’ Arte novecentista sempre più astratta e sempre più lontana dalla piena comprensione della gente, Antonio De Paoli vuole, definitivamente, rilanciare un dialogo su ciò che un artista sente dentro di sé, e su quanto riesce, concretamente, a trasmettere ai fruitori della sua impresa.

Maria Elena Loda

Il ritorno alle origini

Artista conosciuto e apprezzato. Trasgressivo sempre ma originale, elaboratore di una poetica legata alla più alta tradizione rinascimentale e, allo stesso tempo, arricchito dagli apporti di Arturo Martini e della sua concezione della scultura intesa come arte indipendente, non decorativa.

Le sculture, pregne di umanità, di esistenza e resistenza umana sono plasmate dalla sofferenza e dalla continua ricerca di libertà. Si rivolgono alla terra ma guardano verso il trascendente, nascondono all’occhio e rivelano alla mente e al cuore. Sono cioè opere in cui De Paoli accede ad una sfera originaria dell’essere, ad un cominciamento e non a un divenuto, all’esserci. Le forme non sono date realisticamente ma proposte nella loro primigenia natura, in un processo di scavo della materia. L’inesprimibile è sotteso, l’occhio non può non cercarlo e la mente non immaginare. Lo. spettatore è introdotto in un universo infinito, costruito con forza ed energia dall’autore con i sudi tratti decisi: le sue mani toccano e plasmano materialità, usano trucchi per indurre il fruitore a guardare meglio, a sommuovere i propri sensi e a vedere la vitalità di ciascuna scultura.
La luce che avvolge con i suoi fasci le opere, rinvia a proiezioni metafisiche, a luminose ombre , tese verso l’Infinito, già vissuto e interiorizzato dai diversi soggetti. La Rocca di Soncino è il reale luogo in cui collocare le opere prime di questo artista. Suggestiona il gioco cromatico, lo spazio, aperto e chiuso, vulnerabile e ascoso, antico e futuro, atavico e contemporaneo, proteso, proprio come l’arte di De Paoli verso il cielo, ma legato all’esperienza del corpo materico. E’ cioè il paesaggio ideale per la sua poetica. Così il percorso della mostra è un viaggio verso l’Assoluto, coglibile attraverso la visione dell’intensità della vita e dell’esistenza umana ma anche naturale. Lo spettatore è accolto da Virgilio, il poeta simbolo della conoscenza e. soprattutto, dei limiti umani e della ricerca di un luogo dove poter realizzare la felicità vera. spirituale, impossibile per le sole forze dell’uomo. La proiezione Virgiliana è al centro del sistema De Paoli, da essa si irradiano i numerosi movimenti di ricerca identitaria delle sculture modellate sull’argilla, sulla materia prima del creatore. Terra di terra ma a contatto con lo spazio aperto, apparentemente legata all’hic et nunc, in profondità e allegoricamente rivissuta e rispazializzata dal fruitore, anche grazie al contesto della Rocca di Soncino, in una continua metamorfosi dell’indefinibile. Discorso alquanto difficile da comunicare, eppure autenticamente artistico: Virgilio rimanda all’uomo di tutti i tempi, in preda ai tormenti e alle gioie dell’esistenza., desideroso di superare questa realtà bruta per ergersi nella sua unicità e congiungersi al sito luogo originario, per tornare alla sua sacralità, a ricongiungersi a Dio. L’essenza di Virgilio è proprio, in linea con la più classica delle immagini del dux, l’elevazione dell’uomo al di sopra tutte le creature a causa della sua diversità ontologica esistenziale. Intelligenza, ricerca, saggezza. apertura infinita della mente, forza, energia, piena vitalità, poeticità, genialità espressiva appartengono a Virgilio, all’uomo divenuto, formato esistenzialmente ma provato, angolarizzato, reso spigoloso e refrattario all’intervento di una seconda mano, quella dell’artista. La durezza espressiva deriva dal personaggio simbolo, incarnazione dell’esistenza molteplice, dei per-corsi tortuosi seguiti dall’umanità, ancora in fieri. Così sembrerebbe che la materia non voglia farsi definire. Che il fare creativo incorra in una limitazione da parte del soggetto: l’Uomo —Virgilio non è qui ed ora ma altrove, desidera essere in altro luogo come ogni uomo che non riesca ad essere felice nella situazione transeunte. E allora? De Paoli propone una via d’uscita. Virgilio e il suo doppio. Virgilio e la sua ombra. Virgilio e la sua proiezione verso uno spazio e un tempo nuovi, rinnovati dalla sua presenza e dalla sua semplicità terrena, italica ed etrusca allo stesso tempo. Virgilio induce lo spettatore a ricostruire la storia umana, in un percorso rimemorativo e a rinnovare l’esperienza esistenziale di ciascuno di noi, a riflettere, a cercare un mondo migliore in cui l’altro sia sempre considerato come un nostro simile. Non a caso molte sculture dell’artista sono doppie, sono fatte di corpi umani che si guardano, si toccano, a volte si abbracciano teneramente, cercano un contatto empatico, una comunicazione fisica per poter partire, insieme, verso un lungo viaggio metafisico – esistenziale. Spesso hanno i piedi puntati sulla nuda terra ma la mente rivolta a Dio.
L’amore, l’eros, la comunicazione dell’inesprimibile sono presenti in tutte le opere esposte e sono trasmessi all’osservatore attraverso un gioco dei volumi, la dinamica dei corpi, nudi ed essenziali. Spesso questi esseri vengono fuori da uno spazio materico, tendono le mani verso l’alto, sono in tensione, guardano ma hanno paradossalmente sguardi abbozzati, occhi chiusi, non finiti michelangiolescamente, lasciati alla libera interpretazione del fruitore che riuscirà a dare un surplus di senso, perché non potrà fare a meno di raccordarsi con l’umanità di ciascuna proposta. Sono tutti corpi pronti a rifare il cammino, a tornare all’origine, verso Dio, a ricostituire la propria speciale identità. Il tempo presente limita questa ricerca, anzi tende a soffocare questo cammino. L’artista De Paoli porta a chiarezza, con le sue sculture, la radicalità dell’essere umano, la sua molteplice esperienza e aiuta il singolo a guardarsi dentro e a riprendere con più vigore il cammino della propria esistenza.

Leonardo Bizzoco