Matericità dello spirito

Materializzazione dello spirito, e spiritualizzazione della materia, verrebbe da pensare nel guardare i gruppi scultorei di Antonio De Paoli. Il Maestro non si schermisce: viene dall’ambiente scenografico, pensare al Tutto e alla visione d’ insieme è ciò che, fin dagli anni di Brera, ha caratterizzato la sua vocazione artistica.

E se è sicuramente vero che nella solidità della scultura Michelangelo trovava la fragilità umana, così il modellato di Antonio de Paoli assurge a vera epitome dello spirito che si libera dal limite corporale: la forma non si limita ad ‘ uscir fuori’ dal materia-le inerte ma, contenuta già in esso, indica il momento di trapasso, che è anche trasmutazione alchemica- dal basso verso l’ alto, dall’insipiente creta alla figura umana nella sua totale, stupefacente, divina dignità.
E’ un lavoro da demiurghi: la lezione antica di Luca Signorelli, di Michelangelo, di Bernini, è modernizzata e attualizzata con canoni di oggi. Per questa manifestazione vitale, per quest’ epifania di forme, De Paoli prende a modello egli stesso il sublime concetto della Creazione, atavico gesto che richiama il legame dell’Uomo con Dio, immaginifica abitudine che i figli mortali hanno preso dal loro Padre Celeste: quello di plasmare un qualche cosa che abbia in sé armonia, la stessa che ispira il moto del Cosmo.
La cosa più naturale che i nostri bimbi fanno, c’ è da dire, è proprio giocare con la terra, aver-ne confidenza smisurata, metterla in bocca, perfino.
E come i ‘Prigioni’ michelangioleschi sono ‘incastrati’ nel marmo, così le sue figure compio-no il titanico sforzo di mostrarsi, di staccarsi da quello che è materiale eccedente.
Nelle declinazioni più sublimi, si può dire che il modellato ‘non finito’ renda omaggio alla delicatezza della natura umana, che non sempre si staglia chiara e netta, ma può subire offuscamenti e confusioni, momenti indeterminati e sfuggenti dell’ esistenza.
Ecco, questa fatica aggettante dei gruppi scultorei, fatti di torsioni e inclinazioni, di sbalzi e di ombreggiature a rilievo, è densa di forza espressiva, è lo specchio di tutti i tempi che, nella solitudine paralizzante, vuole ribellarsi al decadere dei valori attingendo a piene mani al misticismo, recuperando la vera e pura sostanza umana, che è ‘imago Dei’, immagine e somiglianza di Dio.
Sembra che respirino, queste sculture. Sembra che abbiano polmoni capaci di filtrare la vita.
Sembra che ci vogliano dire: ‘Voi che avete vita, che avete moto, che avete tempo che scorre su di voi e vi trasforma e vi glorifica, che vi esalta e vi sfigura, godetene appieno, ricordatevi della vostra fisicità come di un dono che viene dall’Altissimo’.
In quest’ ottica, la plasticità di questi corpi che spiccano fuori, dunque, diviene la personale meditazione artistica di De Paoli, il suo tributo di pensiero tramite un’ attività manuale che aspira alla certezza metafisica.
Del resto, immergere le mani nella terra è stato il primo atto di Dio: e questa sostanza primi-genia, il fango, è stata la primissima ‘carne’, l’ involucro prescelto in cui il ‘sufflum animae’ venne infuso.
Che per De Paoli, spirito ‘ poietico’ per nascita, la mimesis’ del processo divino nell’umano, sia un vivere quotidiano e sentito, è dimostrato dall’ accuratezza con cui, oltre a modellare, ha scelto il materiale da usare: prendendo esempio da quel ‘Dio vasaio’ che ha forgiato l’ universo, Antonio De Paoli ha attinto alla varietà, amandone la sperimentazione e le possibilità di resa che potevano essere ricavate- l’argilla, come la carne umana, si compone di diverse tonalità cromatiche, dal più chiaro al più scuro; varie terre refrattarie sono state assemblate per dare esiti di pigmentazioni differenti, esattamente come è diversa nel colore della pelle la moltitudine degli uomini nel mondo.
Terre di Spagna, di Bassano del Grappa, del Piave, gli hanno fatto rivivere, in senso puramente cristiano- escatologico, il concetto del ‘polvere sei, e polvere ritornerai.’
Non vuole essere, quello di Antonio De Paoli, un truce ‘ memento mori’ alla maniera barocca, questo no: semmai è proprio la glorificazione della vita nel suo senso più biblico, più legato alle Scritture, una riflessione a tutto tondo sull’Uomo in dialettica continua, evolutiva, con ciò che 1′ Uomo stesso inventa, e ciò da cui deriva: quest’ affiato mistico, questa tensione, questo slancio concettuale verso l’alto che De Paoli compie non si potrebbe capire senza tener presente anche l’altra attività del Maestro, il ciclo pittorico.
Affrescare la Chiesa di San Vittore in Casorate Primo con la vividezza dei colori caldi e freddi che ricordano le tecniche usate da Pontormo o da Rosso Fiorentino è la ‘ liaison’ portante che l’ ha spinto poi a realizzare in bronzo le formelle che adornano la facciata delle porte del Duomo stesso, immettendosi nell’antica scia di tradizione di Lorenzo Ghiberti per il Battistero di Firenze.
Col recupero ‘ tattile’ della sensibilità che aveva animato l’ Arte tra Quattrocento e Cinquecento, Antonio De Paoli manifesta non solo il suo sentire religioso e il suo vissuto umano alla ricerca di risposte, ma vuole lanciare una nuova, coinvolgente sfida a quanti ancora credono che il figurativismo possa parlare a tutti e ispirare gli artisti di ogni epoca: in netta antitesi con la stucchevolezza di un’ Arte novecentista sempre più astratta e sempre più lontana dalla piena comprensione della gente, Antonio De Paoli vuole, definitivamente, rilanciare un dialogo su ciò che un artista sente dentro di sé, e su quanto riesce, concretamente, a trasmettere ai fruitori della sua impresa.

Maria Elena Loda

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